Nel caso in cui due soggetti abbiano sottoscritto un patto di non concorrenza, la parte che lo ha violato deve risarcire il danno subito dall’altra parte. Il danno può essere provato anche ricorrendo a presunzioni e può essere quantificato dal Giudice in via equitativa.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n.2824 depositata il 31.1.2022, ha affermato questo principio e ha condannato i responsabili della violazione al versamento della somma di € 60.000,00 in favore della società che aveva dovuto subire la violazione del patto di non concorrenza, sottoscritto in occasione dell’uscita dalla società dei soci, resisi responsabili della violazione.

 

 

LA VICENDA.

In occasione dell’uscita di due soci da una società, la società e i soci uscenti avevano sottoscritto un patto di non concorrenza, con cui i due soci uscenti si erano impegnati a non avviare il medesimo esercizio commerciale (bar e pasticceria), per quanto riguarda il bar, entro una distanza di due chilometri e, per quanto riguarda la pasticceria, nella medesima provincia.

I due soci usciti dalla società avevano, tuttavia, aperto un nuovo esercizio commerciale in prossimità del precedente, così violando il patto di non concorrenza sottoscritto.

La società ha agito, così, in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni per violazione del patto di non concorrenza.

I PRINCIPI AFFERMATI DALLA CORTE DI CASSAZIONE.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 31.1 scorso, ha confermato la fondatezza della domanda di risarcimento dei danni e ha ricordato alcuni principi in argomento:

– il danno da violazione del patto di non concorrenza può essere provato anche con presunzioni, come nel caso affrontato di prossimità dei due esercizi commerciali: la prossimità dei due esercizi commerciali lascia presumere la sottrazione di clientela;

– il danno da violazione del patto di non concorrenza può consistere sia nella contrazione del fatturato sia nella riduzione del potenziale di vendita;

– per quantificare il danno, si può utilizzare anche il criterio equitativo, previsto dagli art. 1226 e 2056 codice civile. Nel caso affrontato, i Giudici, per la liquidazione equitativa, hanno fatto riferimento al parametro dato dal valore dell’ avviamento aziendale concordato in sede di uscita dalla società, ridotto vista la sottrazione solo parziale dell’avviamento, e moltiplicato per tre anni