La responsabilità civile per esercizio di attività pericolose (art. 2050 cod.civ.) è stata introdotta in Italia per la prima volta nel codice civile del 1942 e, insieme ad altre ipotesi particolari di responsabilità, ha una disciplina speciale rispetto alla responsabilità civile generale di cui all’art.2043 codice civile.
La specialità – ed il motivo per cui è importante conoscerne la disciplina – riguarda soprattutto l’onere della prova posto a carico dell’esercente l’attività: nel caso di esercizio di attività pericolose la responsabilità dell’esercente l’attività, infatti, si presume salvo che non sia lui a dare la prova liberatoria da una sua responsabilità, mentre nella responsabilità civile generale il danneggiato deve provare anche l’esistenza dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa del danneggiante.
La responsabilità per esercizio di attività pericolose ha trovato, in passato, applicazione nella giurisprudenza in numerosi settori, dall’attività edilizia all’attività di produzione e distribuzione di gas in bombole, dalle attività sportive all’attività medica e farmaceutica, dalla navigazione aerea e marittima alla gestione di reti elettriche.
Vediamone alcune caratteristiche.
La disciplina è contenuta nell’art.2050 codice civile, che prevede: “Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno”.
COSA SI INTENDE PER “ATTIVITA’ PERICOLOSA”?
Con la parola attività pericolosa, l’art.2050 c.c. fa riferimento:
– alle attività pericolose tipiche (ad esempio quelle elencate nel Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza, nel suo regolamento, nelle leggi speciali, …)
– ad attività pericolose atipiche, ossia attività da considerarsi tali in base ad un’indagine svolta caso per caso, potenzialmente dannose per l’alta probabilità di causare sinistri per la loro natura o per la natura dei mezzi usati. Per valutare se un’attività rientra in questa categoria, si può fare riferimento a due criteri: la quantità di danni usualmente provocati e la gravità e entità dei danni minacciati.
La Corte di Cassazione ha, in passato, precisato che “Costituiscono attività pericolose ai sensi dell’’art.2050 c.c. non solo le attività che tali sono qualificate dalla legge di pubblica sicurezza o da altre leggi speciali, ma anche le diverse attività che comportino la rilevante probabilità del verificarsi del danno, per la loro stessa natura e per le caratteristiche dei mezzi usati, non solo nel caso di danno che sia conseguenza di un’azione, ma anche nell’ipotesi di danno derivato da omissione di cautele che in concreto sarebbe stato necessario adottare in relazione alla natura dell’attività esercitata alla stregua delle norme di comune diligenza e prudenza” (Cass. 10.2.2003, n.1954).
IL DANNO DEVE ESSERE COLLEGATO ALL’ATTIVITÀ’ PERICOLOSA CON UN NESSO DI CAUSA
Affinchè sorga questa responsabilità, il danno verificatosi deve essere collegato all’attività pericolosa da un nesso di causa.
La prova del nesso di causa tra il danno e l’attività deve essere data dal danneggiato.
Il nesso di causa viene interrotto – e, dunque, il danno non è riferibile all’attività pericolosa – solo se il danno viene causato non direttamente dall’attività pericolosa, ma:
– da un fatto dello stesso danneggiato;
– da un fatto di un terzo;
– o da un altro fatto estraneo all’esercente l’attività.
La Corte di Cassazione ha, ad esempio, di recente escluso l’esistenza del nesso di causa – e, dunque, la responsabilità dell’esercente l’attività – tra la condotta dei produttori e distributori di sigarette ed il danno derivato alla persona in conseguenza del fumo (c.d. danno da fumo attivo). In particolare, ha ritenuto che lacircostanza che la vittima, usando l’ordinaria diligenza, avrebbe potuto evitare la condizione di dipendenza irreversibile da fumo, integrava un caso di fatto proprio del danneggiato, che poteva imputare il danno subito solo a sè (Cass. 21.1.2020, n. 1165).
Ancora più di recente, la Corte di Cassazione si è pronunciata in un caso di consegna di una cosa pericolosa dal produttore ad un’altra persona ed ha ritenuto che, dal momento della consegna in poi, la presunzione di responsabilità si trasferisca in generale a quest’ultima: “dal momento in cui il produttore di una cosa in sé pericolosa, la consegni ad altra persona che la utilizzi autonomamente in un’attività da cui derivi un danno a terzi, il consegnatario assume un distinto potere di disposizione e si trasferiscono a suo carico i doveri di custodia, di sorveglianza e di prudenza; pertanto, la presunzione di responsabilità di cui all’art. 2050 c.c. non grava più sul produttore, di cui è cessata ogni attività, ma sul consegnatario, al quale, in caso di sinistro, spetta l’onere di dimostrare che l’evento dannoso si è verificato per caso fortuito ovvero per un vizio intrinseco della cosa, addebitabile unicamente al costruttore (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità del venditore del gas utilizzato dall’acquirente per il collaudo di una caldaia, realizzata in esecuzione di un appalto affidatogli da un terzo, la quale era esplosa provocando la morte del committente)” (Cass. Ord.09.2021 n.26236).
LA PROVA LIBERATORIA.
L’art.2050 cod.civ. prevede che è esclusa la responsabilità dell’esercente l’attività se prova di “avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno”.
La prova è a carico dell’esercente l’attività e non consiste solo nella prova negativa di non avere commesso violazioni di norme di legge o di comune prudenza, ma nella prova positiva di avere impiegato ogni cura o misura per impedire il danno.
La scelta delle misure più adatte da adottare è rimessa alla discrezionalità dell’esercente l’attività(da esercitare facendo uso della normale prudenza e tenendo conto dello sviluppo della tecnica e delle condizioni pratiche in cui l’attività si svolge) sempre che non sia la legge stessa ad imporre l’obbligo di adottare talune misure. In quest’ultimo caso, se l’esercente l’attività ha adottato misure diverse da quelle prescritte da norme legislative o regolamentari, non c’è possibilità di valutare l’idoneità di quelle, diverse, eventualmente adottate (Cass. 24.11.2003, n. 17851: principio affermato in riferimento a fattispecie di lavori stradali eseguiti su di un marciapiedi senza l’adozione di cartelli di pericolo e di appositi ripari, come stabilita dall’art. 8 lett b) D.R.P. n. 393 del 1959, vigente all’epoca dei fatti).
QUALCHE CASO.
La responsabilità per l’esercizio di attività pericolosa ha trovato applicazione, nella giurisprudenza, in vari settori, quali:
· attività edilizia: “l’attività edilizia, massimamente quando comporti rilevanti opere di trasformazione o di rivolgimento o di spostamento di masse terrose e scavi profondi ed interessanti vaste aree, non può non essere considerata attività pericolosa ai fini indicati da detta norma.” (Cass. 10.2.2003, n.1954)
· gas, bombole e carburante: “L’ industria della produzione e della distribuzione di gas in bombole costituisce attività pericolosa. L’ ente o la persona che provvede alla raccolta o produzione di gas ed alla distribuzione delle bombole ripiene agli utenti è, nell’ esercizio della sua attività, soggetto alla responsabilità ex art. 2050 c.c., in riferimento a tutti gli eventi dannosi che abbiano a verificarsi in pendenza o in occasione dell’ uso del gas e che possano comunque collegarsi alle operazioni compiute dall’ ente o dalla persona predetti. Il pericolo delle esplosioni perdura anche dopo le operazioni di riempimento delle bombole e cioè quando queste, che rimangono sempre di proprietà dell’ imprenditore, vengono messe in commercio, distribuite e consegnate alla clientela per essere usate.” (Cass. n.1595/1969)
· attività sportive: ad esempio, “L’organizzazione di una gara motociclistica su circuito aperto al traffico (anche se di regolarità) è un’attività alla quale è applicabile l’art.2050 c.c.” (Cass. 24.1.2000, n.749); o ancora la Corte di Cassazione ha ritenuto esserci “la responsabilità ex art. 2050 c. c., dell’ente gestore di un parco di divertimenti, per le lesioni subite da due persone che avevano preso posto su un <bob>, fuoriuscito dalla pista di discesa, avendo ritenuto una intrinseca pericolosità sia in relazione alla conformazione ed alle curve del tracciato, sia alla velocità del mezzo ed alla sua struttura” (Cass. 27.7.1990, n.7571)
· attività farmaceutica: “la produzione e l’immissione in commercio di farmaci, contenenti gammaglobuline umane e destinati all’inoculazione nell’organismo umano, costituisce attività dotata di potenziale nocività intrinseca, stante il rischio di contagio del virus della epatite di tipo B, non espressamente previsto dalla normativa riguardante gli emoderivati, ma tuttavia compreso nell’ampia prevenzione stabilita da dette disposizioni” (Cass. 20.7.1993, n.8069)
· attività diretta alla produzione ed alla somministrazione dell’energia elettrica ad alta (Cass. n.537/1982), media e bassa tensione (Cass.389/1997). Di recente, anche Tribunale di Teramo, sent. 13.1.2022, n.21 in un caso di danni a terzi causati da Enel Distribuzione nello svolgimento dell’attività di gestione di una linea elettrica
· ma anche in relazione a numerose altre attività: dall’attività di esercizio di una gru all’attività mineraria, dalla produzione di rifiuti tossici al carico e scarico di una nave cisterna, …
L’elenco non è esaustivo, sono solo alcuni esempi per dare qualche spunto di riflessione, la casistica è ampia e la responsabilità a carico dell’esercente l’attività può essere molto gravosa.
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