Il primo a usare in Italia la parola concorrenza (dal latino concurrere – cum currere – cioè correre insieme), nel significato competitivo attribuito dagli economisti di gara tra soggetti, è stato, alla fine del Quattrocento, il predicatore Girolamo Savonarola.[1]

Da allora, la concorrenza tra imprese è diventata uno dei cardini delle economie di mercato ed è una forma di manifestazione della libertà di iniziativa economica privata, cui è ispirato il nostro ordinamento giuridico, nazionale e internazionale.

Come tutte le libertà, tuttavia, trova delle limitazioni, che possono essere legali (es. per fini di utilità sociali ex art.41 Cost.) o negoziali (nel caso di patto di non concorrenza), ma soprattutto, per quanto ci interessa qui, ha una sua disciplina, che ne detta le regole.

In particolare, i limiti della concorrenza – che, da attività in sé lecita, può diventare patologica e, a quel punto, “sleale” – sono definiti dall’art.2598 codice civile, che è un’applicazione nel campo della concorrenza del dovere generale di non causare ad altri un danno ingiusto (previsto dall’art.2043 codice civile).

LE IPOTESI TIPICHE E LA CLAUSOLA GENERALE.

La norma – fatte salve, comunque, se ne ricorressero i presupposti, le disposizioni specifiche sulla tutela dei segni distintivi e dei brevetti – individua due ipotesi tipiche di atti di concorrenza sleale (n. 1 e 2) e una clausola generale (n.3):

1) concorrenza sleale per confusione (l’adozione di nomi e segni altrui e l’imitazione servile): è il comportamento di chi “usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente”. E’ un illecito di pericolo, essendo sufficiente il pericolo che una certa condotta crei confusione, ovvero “la potenziale confondibilità fra i prodotti o servizi offerti da un concorrente e quelli offerti da un altro”[2]

2) concorrenza sleale per denigrazione e comparazione, ossia il comportamento di chi “diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito, o si appropria di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente”. La giurisprudenza è molto severa nella valutazione della slealtà del comportamento concorrenziale, avendo elaborato criteri di valutazione molto restrittivi (“richiedendo che le notizie e gli apprezzamenti siano non solo rigorosamente veritieri ma anche esposti in modo obiettivo che non ecceda l’esigenza di informazione del pubblico”[3])

3) secondo la clausola generale, è concorrenza sleale ogni forma di scorrettezza professionale idonea a danneggiare l’altrui azienda che si ritrova nel comportamento di chi “si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda.”. Vari sono i casi che sono stati ricondotti a questa ipotesi: dalla sottrazione di segreti aziendali alla concorrenza parassitaria, dallo storno dei dipendenti alla concorrenza degli ex dipendenti, dal ribasso dei prezzi al boicottaggio alla pubblicità menzognera.

(il memo dell’art.2598 cod.civ.)

UN PO’ DI CASISTICA E QUALCHE CURIOSITA’.

DALL’IMITAZIONE DEL PACKAGING ALL’UTILIZZO DI CONOSCENZE TRAMITE LAVORATORE TRASMIGRATO.

La giurisprudenza si è spesso pronunciata su questo argomento. Riportiamo qui, per curiosità, qualche recente pronuncia.

1. Sulla concorrenza sleale per confusione.

In passato, in merito all’ipotesi di concorrenza per confusione, la giurisprudenza ha ritenuto, ad esempio, che:

“l’imitazione rilevante ai sensi dell’art. 2598, n. 1, c.c. non esige la riproduzione di qualsiasi forma del prodotto altrui, ma solo di quella che investe le caratteristiche esteriori dotate di efficacia individualizzante, in quanto idonee, per capacità distintiva, a ricollegare il prodotto ad una determinata impresa, sempreché la ripetizione dei connotati formali non si limiti a quei profili resi necessari dalle caratteristiche funzionali del prodotto” (Cass. civ. Sez. I Sent., 14/05/2020, n. 8944)

l’imitazione del packaging può essere sanzionata come concorrenza sleale confusoria, parassitaria e di look alike nel caso in cui si provi la distintività del packaging e l’adozione generalizzata di proposte commerciali imitative” (Tribunale Milano Sez. spec. in materia di imprese Ord., 04/05/2021)

“costituisce applicazione dell’art. 2598, n. 1 e 3, c.c. perfettamente in linea con la giurisprudenza consolidata e sulla base di una motivazione puntuale e coerente avere accertato che i cartelli esposti dall’esercizio di bar all’aperto affiancato a quello dotato di orchestra con la scritta “nessun supplemento per la musica – no music charge” fossero illeciti perché idonei a trasmettere il messaggio: “venite da noi perché pagherete di meno pur potendo ascoltare la musica come al vicino caffè dove però ve la fanno pagare” (Cass. civ. Sez. I Sent., 04/06/2008, n. 14793)

2.  Sulla concorrenza sleale per denigrazione e comparazione.

Richiamo, qui, una recentissima pronuncia (ordinanza del 13 luglio 2021, n.19954), in cui la Corte di Cassazione ha ritenuto un atto di concorrenza sleale per appropriazione dei pregi dei prodotti o dell’impresa altrui (ex art. 2598 codice civile, comma 1, n. 2), il comportamento di un’azienda che aveva pubblicato sul proprio sito internet nomi di clienti prestigiosi, facendo così intendere di avere svolto a loro favore attività professionale, invece svolta da una società concorrente. La Corte ha ritenuto che l’appropriazione del nominativo di clienti in realtà di altri non fosse solo mera vanteria o pubblicità menzognera a danno del mercato, ma l’ha qualificata come un vero atto di concorrenza sleale

3. Sulla scorrettezza professionale secondo la clausola generale.

E’ questa, infine, l’ipotesi in cui può rientrare la casistica più ampia, vista la portata generale della clausola. Già sopra è riportato qualche esempio. Aggiungo solo qualche pronuncia:

“costituisce concorrenza sleale, a norma dell’art. 2598, n. 3, cod. civ., l’acquisizione, tramite storno di dipendenti, di notizie riservate di pertinenza di un’impresa concorrente, così da risparmiare sul costo dell’investimento in ricerca ed in esperienza ed alterando significativamente la correttezza della competizione, e ciò a prescindere dall’accertamento dell’eventuale presenza sul mercato di prodotti ottenuti sfruttando tali notizie. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata rilevando che, attraverso le conoscenze di un lavoratore trasmigrato dall’una all’altra azienda, un’impresa produttrice di gelati aveva indebitamente acquisito notizie che – in quanto concernenti l’elenco dei fornitori, delle materie prime usate, della loro composizione e delle procedure di lavorazione – sono per loro natura riservate, in quanto valgono ad assicurare la qualità dei prodotti di un’impresa e a differenziarli da quelli delle altre imprese operanti sul mercato)” (Cass. civ. Sez. I Sent., 20/01/2014, n. 1100)

“integra gli estremi dello sviamento sleale di clientela la condotta posta in essere da un imprenditore che, per il tramite di propri dipendenti già al servizio di un concorrente, si appropri di tabulati recanti i nominativi di clienti e distributori di quest’ultimo, essendo irrilevante la circostanza che detti nominativi fossero già noti al medesimo imprenditore ed a tali dipendenti, trattandosi di informazioni comunque riservate e, come tali, non divulgabili”(Cass. civ. Sez. I Sent., 31/03/2016, n. 6274)

“costituisce concorrenza sleale a norma dell’art. 2598, n. 3, cod. civ. l’assunzione di dipendenti altrui o la ricerca della loro collaborazione non tanto per la capacità dei medesimi, ma per l’utilizzazione, altrimenti impossibile o vietata, delle conoscenze tecniche usate presso altra impresa, compiuta con “animus nocendi”, ossia con un atto direttamente ed immediatamente rivolto ad impedire al concorrente di continuare a competere, attesa l’esclusività di quelle nozioni tecniche e delle relative professionalità che le rendono praticabili, così da saltare il costo dell’investimento in ricerca ed in esperienza, da privare il concorrente della sua ricerca e della sua esperienza, e da alterare significativamente la correttezza della competizione” (Cass. civ. Sez. I Sent., 08/06/2012, n. 9386)

“l’imprenditore che si duole della condotta del concorrente (consistita, nel caso di specie, nell’apertura domenicale di un esercizio commerciale, senza che sussistessero i presupposti richiesti da un’ordinanza sindacale) deve dare dimostrazione non tanto della violazione di norme amministrative, quanto anche del compimento di atti di concorrenza potenzialmente lesivi dei propri diritti, mediante malizioso ed artificioso squilibrio delle condizioni di mercato (Cass. civ. Sez. I, 03/04/2020, n. 7676)

“la concorrenza sleale parassitaria consiste in un continuo e sistematico operare, da parte di un imprenditore, sulle orme dell’imprenditore concorrente, attraverso l’imitazione di rilevanti iniziative imprenditoriali o lo sfruttamento di studi o ricerche di quest’ultimo” (Cass. civ. Sez. I, 29/10/2015, n. 22118)

QUALI SONO I RIMEDI DI FRONTE A ATTI DI CONCORRENZA SLEALE?

Rispondono alla domanda gli art. 2599 e 2600 codice civile, che prevedono:

-l’inibizione della continuazione degli atti di concorrenza sleale e l’adozione degli opportuni provvedimenti affinchè ne vengano eliminati gli effetti;

-la condanna al risarcimento dei danni, se gli atti di concorrenza sleale sono compiuti con dolo o con colpa (colpa che il codice, comunque, presume a fronte degli atti di concorrenza).

Può essere ordinata anche la pubblicazione della sentenza di accertamento e i danni possono comprendere tutto il pregiudizio economico subito dall’impresa danneggiata (es. tutto l’utile che il soggetto avrebbe potuto conseguire, le spese inutilmente sostenute, …)

(Post scriptum non giuridico)

In conclusione, un po’ di leggerezza, con una frase di Totò: “La tua concorrenza è sleale! Il tuo naso è più lungo del mio!”.

E un consiglio cinematografico: “Concorrenza sleale” è, infatti, il titolo di un bellissimo film del 2001 di Ettore Scola, riconosciuto di interesse culturale nazionale, interamente dedicato alle leggi razziali: “È la vicenda di due commercianti di stoffe che hanno negozi attigui e che sono dapprima divisi da una rivalità professionale che alimentano con furbizie e tiri mancini, poi legati da un’amicizia che nascerà dalle ingiustizie subite da uno dei due”.[4].

 

 


[1] Così in “Appunti sulla concorrenza”, di Fiorella Kostoris Padoa Schioppa, Enciclopedia Treccani https://www.treccani.it/enciclopedia/concorrenza_%28Il-Libro-dell%27Anno%29/

[2] Cassazione, SS.UU., 23.11.1995, n.12103

[3] Trattato Responsabilità civile, diretto da Paolo Cendon – Omnia, Trattati giuridici, UTET Giuridica

[4] http://www.edscuola.it/archivio/norme/circolari/concorrenzasleale.pdf. “È un bel titolo Concorrenza sleale: semplice, allusivo, dalla doppia lettura. Perché, se sleale, all’inizio, è la concorrenza che lo scaltro merciaio ebreo, venditore di abiti confezionati, opera ai danni del contiguo sarto all’antica, tragicamente più sleale sarà di lì a poco la concorrenza attuata dallo Stato italiano, con “Il manifesto della razza” e le discriminazioni che ne discesero, ai danni della comunità ebraica” (Michele Anselmi, Vivi il cinema, Guida alla visione).

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